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Servitù della gleba
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La servitù della gleba, molto diffusa nel medioevo (già colonato al tempo dei Romani), era una figura giuridica che legava i contadini ad un determinato terreno (gleba, in latino, è propriamente la "zolla" di terra). I servi della gleba coltivavano i terreni che appartenevano ai nobili, pagando un fitto. Inoltre dovevano pagare le decime (qualora il proprietario facesse parte del clero o fosse un ente ecclesiastico) ed erano obbligati a determinate prestazioni di lavoro. I servi della gleba erano tali per nascita, e non potevano (lecitamente) sottrarsi a tale condizione senza il consenso del padrone del terreno. Nel Medioevo, in occasione dei lavori per dissodare nuove terre, spesso il proprietario dava a chi si sobbarcava l'onere di trasferirsi nelle nuove aree particolari libertà e privilegi: da cui il nome "Villafranca" dato a tante località. I servizi a cui i servi della gleba erano obbligati, contrariamente a quanto accadeva nella schiavitù, non avevano un carattere generico, ma erano precisamente definiti. A differenza degli schiavi, giuridicamente i servi della gleba non erano "cose" ma persone, con qualche diritto: proprietà privata (limitata ai beni mobili), possibilità di sposarsi e di avere figli ai quali lasciare un'eredità. Il feudatario non aveva potestà sulla vita del servo della gleba, che però poteva essere venduto insieme alla terra, su cui aveva l'obbligo di restare. Intaccare questo principio fu una delle forme per sgretolare la servitù della gleba. Perciò non poteva neanche esserne cacciato. Dai doveri rurali, in molte zone d'Europa, ci si poteva sottrarre anche col trasferimento in città: in Germania c'era il detto"Stadtluft macht frei" ("L'aria della città rende liberi").
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Fecha publicación: 29.8.2014

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